In un momento particolare della vita dell’azienda nasce per l’imprenditore la necessità di circondarsi di professionisti all’altezza di compiti sempre più complessi. In questo terreno di coltura nasce, tra molte altre, la figura dell’avvocato d’affari con il compito di suggerire, nel pieno e incondizionato rispetto delle regole, le azioni più appropriate per proteggere il valore aziendale conquistato e avviare un percorso di crescita che, spesso, passa per un processo d’internazionalizzazione. Senza volersi sostituire al commercialista, al consulente finanziario, all’avvocato civilista, all’avvocato tributarista, all’avvocato esperto di diritto societario, ecc. – tutte figure professionali quasi sempre coordinate dallo stesso imprenditore – l’avvocato d’affari ha una visione d’insieme che può essere certamente utile a definire strategie legali, societarie, tributarie e finanziarie che tengano conto l’una dell’altra con grande giovamento per l’impresa e il suo titolare.
L’avvocato d’affari, cioè, può dare un impulso decisivo a valorizzare tutte le attività di supporto all’impresa evitando che, pur singolarmente apprezzabili e di qualità, possano in qualche modo entrare in conflitto tra loro imponendo grandi sforzi successivi per ricomporre un quadro unitario. Potrebbe accadere, per esempio, che l’avvocato civilista non valuti gli effetti della sua attività sui conti della società o sui carichi fiscali così come il commercialista più tecnico potrebbe non porre attenzione alle complicazioni giuridiche delle proprie scelte.
Facciamo un caso. In una causa civile intentata contro la società per risarcimento di danni, il cui esito è giudicato incerto, l’avvocato civilista qualora ve ne fosse l’opportunità suggerirà quasi certamente all’imprenditore di transigere la vertenza ex art. 1965 c.c.
Normalmente è difficile che un avvocato civilista conosca le tecniche di redazione dei bilanci e i principi contabili per cui egli potrà sottovalutare questi aspetti e ancor più quelli finanziari collegati alla gestione della tesoreria.
Poniamo il caso che ai fini della rappresentazione in bilancio della passività potenziale generata dal contenzioso civile sopradetto, in applicazione del principio contabile di riferimento, la stessa possa essere qualificata come “possibile” facendo venir meno la necessità di iscrivere in bilancio il fondo rischi (che impatterebbe negativamente sul risultato dell’esercizio e sui rapporti patrimoniali e finanziari) ed evidenziare la fattispecie solo nella nota integrativa.
La soluzione stragiudiziale della controversa, fermi i vantaggi sul piano civilistico, determinerebbe una passività non più potenziale (possibile) ma realizzata, con effetti negativi sia sul piano economico e patrimoniale sia nella gestione finanziaria, andando a impattare sul circolante. Dal punto di vista tributario andrebbe inquadrata la fattispecie al fine di stabilire la rilevanza fiscale dell’indennizzo e l’esercizio di competenza. Se si considera soltanto l’aspetto strettamente civilistico, la soluzione prospettata dal professionista non può che essere accolta con favore dall’imprenditore; ma se s’inquadra la transazione nel contesto aziendale di una società che non brilla per risultati o per struttura patrimoniale e finanziaria, il vantaggio svanisce del tutto o addirittura l’accordo diviene pregiudizievole per la società.
Qualora il professionista fosse stato in grado di valutare anche gli impatti sul bilancio d’esercizio, sicuramente avrebbe optato per una diversa soluzione tenendo conto del periodo di crisi economica, della contrazione dei margini, nonché dell’impatto dell’onere correlato alla transazione, sul patrimonio e sulla finanza dell’impresa.
Diversamente, qualora la passività potenziale fosse classificabile in applicazione dei principi contabili come “probabile” che impone l’iscrizione in bilancio del fondo rischi, l’effetto della transazione sul bilancio sarebbe stato sicuramente positivo, generando, da una parte l’iscrizione di un onere inferiore rispetto al fondo, dovuto all’eventuale stralcio rispetto alla richiesta di controparte, con beneficio sul risultato d’esercizio, anche in conseguenza del risparmio fiscale determinato dalla rilevanza, in tale ambito, della transazione e quindi del relativo onere. Infatti, fintanto che la passività fosse rimasta solo potenziale la stessa non avrebbe avuto rilevanza fiscale.
In un altro contesto aziendale, con risultati particolarmente brillanti e con rapporti e indici patrimoniali e finanziari ottimali, il professionista e l’imprenditore avrebbero potuto approfittare per transigere non solo quel contenzioso ma anche altre eventuali passività potenziali classificabili, sempre ai sensi del principio contabile applicabile, come possibili o remote e giovarsi dei correlati legittimi risparmi fiscali.
L’azienda e le sue peculiarità generano l’onere nell’avvocato d’affari di contribuire a mantenere un equilibrio tra i vari e complessi fattori che la coinvolgono. Gli aspetti legali, societari, tributari, finanziari e amministrativi devono essere costantemente monitorati e tra di loro risultare armonici nella considerazione che nessun aspetto è scollegato dall’altro.
Gli effetti della conclusione di un qualsiasi contratto d’impresa, e/o di una qualsiasi operazione straordinaria societaria, qualunque sia la sua complessità e finalità, coinvolgerà l’avvocato d’affari per stabilire, a priori, l’impatto sui vari comparti e in particolare sul bilancio d’esercizio e quindi gli effetti che incidono su quel documento a cui la legge attribuisce capacità d’informazione per i terzi e in virtù del quale il mercato riconosce il valore dell’azienda. E’ necessario, pertanto, saper individuare in anticipo quali saranno le conseguenze delle azioni dell’imprenditore sui vari aspetti aziendali e tenerne conto per poterli governare, approvare e se del caso censurare.
L’avvocato d’affari lavora a stretto contatto con i responsabili delle varie aree aziendali e nella pratica spesso accade che le scelte cui l’imprenditore è chiamato ad assumere sono suggerite dall’avvocato d’affari per migliorare e spesso correggere, attraverso gli effetti che le stesse producono, i risultati dell’impresa.
In un’operazione di acquisizione di un’azienda, stabilire la metodologia più opportuna non può essere lasciata all’imprenditore. Meglio un contratto di acquisto del diritto di proprietà di partecipazioni sociali o di acquisto del diritto di proprietà dell’azienda? Nell’uno o nell’altro caso sono coinvolti più aspetti di competenza dell’avvocato d’affari che l’imprenditore solitamente ignora, devono essere affrontate problematiche civilistiche, finanziarie, fiscali e contabili. Le soluzioni devono essere lasciate all’avvocato d’affari che deve essere in grado di prevedere i rischi e cosa succederà in termini di rappresentazione di quella scelta nei futuri bilanci, quali indici e quali rapporti patrimoniali e finanziari miglioreranno e quali, invece, peggioreranno; quali saranno le conseguenze sul piano fiscale, quali i rischi e quale sarà l’effetto della scelta sulla società rispetto all’obiettivo di incrementarne il valore.
Integrare e aggregare gli stati patrimoniali e la struttura economica dell’azienda target con quelli del cessionario, oppure lasciare che il tutto resti isolato nell’ambito di un controllo partecipativo, sono situazioni molto differenti e il risultato molto diverso.
L’avvocato d’affari nell’interesse della società suggerisce le più opportune azioni per generare su di essa risultati voluti e programmati, evitando, nell’ambito delle sue competenze, esiti incontrollati collegati a scelte inconsapevoli dell’imprenditore.
L’avvocato d’affari svolge, quindi, un ruolo strategico e pertanto, dovrà valutare le dinamiche aziendali e suggerire agli imprenditori le azioni più adatte per sviluppare le loro idee e le opportunità che si presentano. E’ necessario, pertanto, una stretta collaborazione tra il professionista e l’imprenditore dove si contrappongono i segni caratteristici di approcci diversi alla realtà aziendale: l’imprenditore sempre entusiasta ed ottimista predilige osare sempre di più; l’avvocato d’affari, invece, impone prudenza e attenzione, consiglia la strategia più appropriata per assumere determinati impegni, specialmente finanziari. Gli investimenti sono necessari per mantenere un livello competitivo e crescere ma bisogna saper progettare un percorso, individuare una strada da seguire ed essere coscienti degli effetti delle proprie decisioni e degli impatti sui conti aziendali.
E’ vero l’azienda deve crescere altrimenti muore. Ma quante aziende sono scomparse per aver osato troppo e non programmato adeguatamente la struttura finanziaria e il ritorno economico dei loro investimenti? Un investimento andato male significa compromettere il valore aziendale e i sacrifici di anni spesi per raggiungere quel valore.
Nella maggior parte dei casi, le aziende liquidate o fallite negli ultimi periodi di crisi si sono spente per il forte indebitamento dovuto spesso ad investimenti sbagliati, inutili o addirittura deleteri che hanno impattato negativamente sul conto economico con oneri finanziari e ammortamenti elevati non coerenti con la capacità della gestione caratteristica di produrre marginalità capienti. Ebbene per far crescere l’azienda occorrono nuove idee ma le stesse devono potersi sviluppare su un terreno fertile che consente di farle prosperare. L’avvocato d’affari, forte dell’esperienza che deve aver maturato e della capacità di valutazione e analisi delle componenti dell’impresa, contribuisce a preparare il terreno per lo sviluppo e l’implementazione delle nuove opportunità di business, favorito dalla conoscenza e dall’utilizzo coerente delle norme sulle quali occorre far leva in coerenza con le finalità perseguite, tenendo conto delle dinamiche contabili, finanziarie e fiscali.
Il valore dell’impresa percepito dai terzi trova la sua manifestazione primaria nei risultati espressi nei bilanci che sono la rappresentazione numerica del successo dell’azienda. Il bilancio di esercizio misura le performance dell’azienda e la sua capacità di contribuire all’economia del paese. Il successo dell’impresa come bene sociale a servizio dei portatori di interessi, dipende anche dalle capacità dell’avvocato d’affari che con l’imprenditore ha il dovere di proteggere la società e far progredire l’azienda nel rispetto delle regole e nell’ambito di una progettualità strategica, utilizzando gli strumenti a disposizione, che uniti alle più sofisticate regole amministrative e contabili determinano l’effetto di una concreta possibilità di creare valore.
Ed è in tale contesto che assume una valenza primaria la percezione che l’impresa riesce a trasferire ai terzi chiamati a valutare e a interpretare le sue qualità e quindi ciascuno per quanto di competenza a favorirne la crescita. Si pensi al rapporto con i clienti e con i fornitori, oppure con le banche e con le altre istituzioni finanziarie chiamati a sostenere le iniziative di sviluppo e di crescita; ai rapporti con i potenziali investitori che devono acquisire fiducia, tramite una corretta non invasiva e sobria comunicazione della capacità dell’azienda di saper crescere. E ancora, ai rapporti con i dipendenti che devono essere consapevoli del successo dell’azienda dovuto essenzialmente al loro apporto per far nascere quell’entusiasmo di appartenenza che dà la carica e colma gli animi di soddisfazione alleviando la fatica del lavoro.
E’ inevitabile, pertanto, che le attività che l’avvocato d’affari mette in campo e i risultati conseguiti debbano trovare corretti momenti di comunicazione per i terzi, nella accezione più ampia possibile.
Quando si parla di comunicazione, anche e forse soprattutto in questo contesto, non ci si riferisce alla pratica della propaganda che è tutt’altra cosa. Comunicazione è innanzitutto verità. Comunicazione è una leva strategica per mettere in connessione l’azienda con i suoi pubblici di riferimento: gli azionisti, certo, ma anche i cosiddetti stakeholder (portatori d’interesse relativi alle attività di quel soggetto), i consumatori, l’opinione pubblica più in generale. Definita così, la comunicazione potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Quanto più potente è la capacità di trasmettere segnali tanto più occorre saperne misurare gli effetti. E i segnali, abbiamo detto, devono rispondere a un principio di lealtà che aiuti a rafforzare il legame dell’impresa e dell’imprenditore con il sistema di riferimento, locale o internazionale che possa essere. Proprio perché la comunicazione implica verità, prima che sia sviluppata in termini professionali occorre che l’azienda si metta nelle condizioni di poter interagire con il proprio pubblico di riferimento evitando la tentazione di forzare, distorcere, ingannare. Una società che sappia ben comunicare è una società sana, governata da buoni principi e guidata da amministratori corretti. La comunicazione non serve a indurre in errore, a far credere altro dalla quello che è, ma a mostrarsi come si è fornendo agli interlocutori, ciascuno per la sua qualità le informazioni utili a scambiare meglio, più velocemente. Naturalmente la comunicazione è un canale a due vie. Come si deve imparare a emettere segnali, così occorre essere capaci di accogliere quelli del mercato. La funzione dell’ascolto ė dunque essenziale per mettere in equilibrio le reciproche aspettative di chi emette e chi riceve gli impulsi in un gioco nel quale i soggetti possono e devono scambiarsi di posto secondo le circostanze. L’esercizio continuato di una buona comunicazione conduce al bene prezioso della fiducia. Ecco, un buon avvocato d’affari deve creare un contesto di fiducia tra l’azienda cliente e il suo pubblico di riferimento. E per raggiungere questa conquista deve necessariamente pretendere e trasmettere correttezza di pensiero e di comportamento. La logica che sovrintende a questo lavoro delicato e paziente porta a un risultato cosiddetto win win dove a vincere sono tutti gli attori del business. Quello che ci tocca vedere nei film prevalentemente americani, in cui gli avvocati che si occupano di affari sono dipinti come insaziabili pescecani desiderosi solo di azzannare le controparti, non è altro che il lato deteriore della professioni e spesso la sua parodia.
Per l’avvocato d’affari è necessario un percorso formativo sul campo e l’applicazione quotidiana delle proprie esperienze e intuizioni che devono poter contare su un’attitudine imprenditoriale. L’avvocato d’affari deve essere consapevole degli effetti delle proprie scelte su tutti i comparti di competenza che coinvolgono l’azienda e deve saperli guidare e governare.
L’avvocatura d’affari è una specializzazione che coinvolge le materie esclusivamente interessate nell’ambito dell’impresa e rappresenta in sintesi una nuova figura professionale autonoma che racchiude in sé le funzioni dell’avvocato con quelle del commercialista.